venerdì 23 settembre 2011

Lettera pubblicata su "L'Adige" giovedì 8 settembre

Tra tutti gli avvenimenti drammatici che hanno scosso il mondo durante l’estate appena trascorsa, vale la pena tornare a riflettere su quanto avvenuto tra il 6 e il 10 agosto a Londra e in Gran Bretagna, con città e metropoli paralizzate e sconvolte di fronte ad un’ondata di saccheggi e atti di teppismo improvvisa e senza precedenti.
Dobbiamo parlarne oggi perché, come ha scritto Giorgio Bocca in un recente articolo apparso su “Il Venerdì di Repubblica”, il consumismo spiega tutto o quasi del nostro tempo e provare a comprendere le cause scatenanti delle “rivolte” inglesi, permetterà forse di evitare il ripetersi delle stesse anche nel nostro Paese e nella nostra, per il momento tranquilla, provincia alpina. L’occasione per riflettere sul consumismo e sulle sue conseguenze sociali ed economiche, ci viene fornita in questi giorni dal dibattito legato all’approvazione della legge finanziaria. Tra i provvedimenti proposti, alcuni dei quali peraltro subito archiviati, si è parlato di abolire festività nazionali, consentire la liberalizzazione completa degli orari di apertura dei negozi, inserire nelle buste paga i ratei del tfr per aumentare il potere di acquisto, ridurre le commissioni sugli acquisti con carte di credito. Provvedimenti questi tutti pensati per incentivare il consumo anche a costo di incrementare la propensione all’indebitamento dell’acquirente.
L’ideologia dominante del tempo in cui viviamo non è socialista o liberista ma consumista” scrive Bocca, e i fatti di Londra non fanno altro che testimoniarlo. Quei ragazzi inglesi, fotografati a saccheggiare dai negozi prodotti tecnologici di ultima generazione, vestiti e scarpe di marca, non chiedevano un cambiamento politico o sociale. In un atto estremo esprimevano la loro frustrazione di fronte all’impossibilità di acquistare quei prodotti, quei marchi, che “fanno la differenza” generando automatico riconoscimento sociale e quindi successo.
Moltiplicare le occasioni di consumo può essere piuttosto frustrante per chi, percependo magari solamente sussidi alla disoccupazione, non può far altro che fermarsi a guardare attraverso le vetrine vestiti e beni di ultima tendenza, dai prezzi inaccessibili. La soluzione – anche per chi non può permetterselo – è affidarsi alla carta di credito e al cosiddetto credito al consumo perché “i bisogni normali sono limitati a mangiare, dormire, avere un tetto. Ma i bisogni immaginari sono infiniti” (Giorgio Bocca). Ecco quindi che oggi, tentando disperatamente e senza progettualità alcuna di uscire dalla crisi, il governo favorisce l’introduzione anche in Italia di quegli stessi atteggiamenti consumistici che, nell’ormai lontano 2008, hanno dato inizio alla drammatica fase recessiva che stiamo tutt’ora vivendo. Lo spettro dei fatti di Londra aleggia su queste riforme, perché senza una reale educazione finanziaria dei consumatori - assolutamente da incentivare anche in Trentino – si rischia il ripetersi e il dilagare di quelle che Zygmund Baman ha definito “rivolte di consumatori deprivati e esclusi dal mercato”. Perché non comprendere quindi che, se davvero vogliamo lasciarci definitivamente alle spalle la crisi, il modello economico da superare non è in sé quello liberista o quello socialista, ma quello “consumista”? Perché il mondo della politica, di fronte alla crisi, si è limitato a fornire risposte utilizzando le stesse categorie interpretative di sempre, senza sforzarsi di proporre alcuna soluzione alternativa? Matteo Salvetti - UIL TuCS del Trentino

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