venerdì 20 gennaio 2012

Lettera su "L'Adige" di lunedì 16 gennaio

Il Prof. Roberto Ravazzoni, ordinario dell’Università di Parma e coordinatore del centro di ricerca della Bocconi su marketing e servizi, in un articolo comparso sulle colonne de “Il Foglio” dal titolo rassicurante - “Libertà di arricchirsi” - ha sostenuto recentemente le ragioni della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali, calcolando un aumento del 0,25% del PIL derivante dalle sole continue aperture domenicali e risparmi per le famiglie valutabili nell’ordine di 400 Euro all’anno, come effetto di una maggiore concorrenza nel settore. Tra le righe tuttavia, lo stesso Ravazzoni si trova costretto ad ammettere che “per via della congiuntura negativa, nell’immediato non saranno troppo evidenti gli effetti di questa liberalizzazione”. Una “congiuntura” che, è bene ricordarlo, è partita nell’ormai lontano 2008 e non pare certo vicina alla conclusione. Se osserviamo i dati sull’andamento dei consumi relativi allo scorso dicembre forniti da “La Repubblica” tutti gli indicatori presentano il segno meno. Le spese per abbigliamento e calzature sono calate del 5,2%, quelle degli alimentari del 3,2 %, segno negativo anche per libri e giocattoli con calo a due cifre per gioielli e articoli sportivi. Tutto questo nonostante la completa liberalizzazione delle aperture domenicali nel mese di dicembre. Di fronte a questi dati negativi, appare evidente come non abbia alcun senso puntare su una estensione della liberalizzazione degli orari di apertura nel disperato tentativo di rivitalizzare la stagnante economia italiana.
La questione si complica tuttavia se si considerano i dati relativi all’andamento del cosiddetto “e- commerce”. L’acquisto in rete è possibile in qualsiasi momento della giornata e consente al consumatore di scegliere comodamente da casa il prodotto da acquistare – oggi perfino automobili – evitando lo stress derivante da file e ingorghi di traffico oltre alle spese di carburante per raggiungere i luoghi consueti d’acquisto. Ecco quindi che il mercato delle vendite on line ha registrato in Italia durante il mese di dicembre scorso numeri da vero e proprio boom, con un 25 % in più rispetto ai dati dello scorso anno. La liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi, rischia quindi di essere già superata dalle libertà sfrenata del commercio virtuale.
Se in Italia quello dell’acquisto in rete è un fenomeno relativamente nuovo, anche a causa della tradizionale diffidenza degli italiani riguardo a modalità di pagamento diverse dal denaro contante, in altri paesi rappresenta già un settore consolidato e monitorato, e già il commercio tradizionale – anche quello dei grandi centri commerciali – sembra risentirne. Il colosso tedesco Mediamarkt- Saturn (gruppo METRO), leader a livello europeo nella distribuzione di elettrodomestici ed elettronica di consumo, sta soffrendo in Germania la concorrenza dell’e-commerce a tal punto da essere stato costretto a ridurre di tremila unità la propria forza lavoro nel 2011. Per contro, anche da un punto di vista sindacale, si stanno organizzando negli Stati Uniti le prime proteste contro Amazon- una delle più importanti aziende del settore – colpevole di garantire basse spese di spedizione e tempi di consegna veloci anche grazie allo sfruttamento della forza lavoro, costretta, secondo un’indagine ripresa dal New York Times, a dover sopportare lavoro precario, clima di ricatto e assenza di diritti, ritmi inumani con una temperatura all’interno degli enormi magazzini che spesso supera i 40 gradi, provvedimenti disciplinari per chi rallenta il ritmo o sviene e licenziamenti arbitrari. Mentre in Germania il colosso online statunitense ottiene manodopera a basso costo grazie ai sussidi concessi dallo stato tedesco ai disoccupati.
Difficile, al momento, prevedere i tempi di transizione dal commercio tradizionale a quello virtuale, passaggio che tuttavia sembra inevitabile, con l’approssimarsi di una nuova generazione sempre più connessa. Di certo il nuovo scenario che si sta delineando rappresenta qualcosa si profondamente nuovo nella storia dell’umanità, nella quale il commercio al di là dello scambio di beni, aveva svolto la funzione importantissima di connettere persone e culture diverse, creando progresso. L’e- commerce, da questo punto di vista, rappresenta solamente l’evoluzione dell’alienazione del consumatore, sempre solo nell’atto di consumo, già analizzata dal sociologo polacco Bauman. Non rimane quindi che interrogarsi sul concetto stesso di “liberalizzazione”, sugli effetti di un mercato senza regole e quindi sul tipo di società vogliamo consegnare ai nostri figli. Forse non è ancora troppo tardi per proporre e incentivare nuovi modelli di consumo, diversi da quelli che hanno generato la crisi del 2008, capaci di creare sinergie tra produttori locali e consumatori in un’ottica di sviluppo davvero sostenibile. Matteo Salvetti

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